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horror vacui ‹òrror vàkui› (lat. «orrore del vuoto»). – Frase con la quale si espresse un concetto fondamentale della fisica aristotelica che, in polemica con la fisica democritea, asseriva l’inesistenza di spazi vuoti (la natura aborre dal vuoto); si ripete talvolta con allusione alla tendenza a eliminare ogni spazio vuoto nell’ornamentazione, nell’arredamento e simili. (fonte: treccani.it)

Nella vita di tutti i giorni è nostra abitudine definire e percepire il vuoto come il nulla.
Una stanza priva di arredamento, in tutto o in parte, per noi è vuota. Tecnicamente l’affermazione non è corretta e tra qualche riga spiegherò il perché.
Per lo stesso principio, di fronte a un layout grafico che presenta molti spazi bianchi è consuetudine (più che altro del cliente e dell’account) dire che è vuoto.
In realtà anche questa affermazione è errata, perché quello spazio bianco nel layout (al pari dello spazio vuoto lasciato in una stanza) ha un motivo di esistere. È grafica. Serve a dare equilibrio, bilanciando i pieni. Serve a dare respiro, concedendo allo sguardo un momento di “pausa”, di riposo.
Nell’arte lo spazio vuoto è un lusso, tanto che negli anni ’70 veniva osteggiato perché considerato troppo elitario. All’epoca si preferiva ispirarsi alla grafica dei tabloid britannici, pieni di titoli, testi e foto. Solo alla fine degli anni ’80 gli art director, tra cui Neville Brody e Fabien Baron reintroducono lo spazio bianco nelle riviste.

Neville Brody è un artista e designer inglese, disegnatore di caratteri, tra cui l’Industria e l’Insignia. Noto per aver redatto e diretto la rivista di moda inglese The Face, è anche l’autore di numerose copertine di album di famosi gruppi musicali. Una su tutte, quella del singolo Just can’t get enough dei Depeche Mode. Ha inoltre curato il rebrand delle tre principali testate giornalistiche inglesi: The Times, The Guardian e The Observer.

Fabien Baron è un designer francese, direttore editoriale di Interview, la rivista americana di celebrities fondata nel 1969 da Andy Warhol, John Wilcock e Gerard Malanga. Tra le sue collaborazioni spicca quella con Madonna, per la quale ha curato la grafica del libro Sex e dell’album Erotica.

Anche se lo spazio bianco è spesso associato al vuoto non è detto che impoverisca il messaggio. Una pagina tutta piena è come un testo senza punteggiatura: si legge tutto d’un fiato senza pause e alla fine non si comprende subito il significato se non rileggendolo con più attenzione magari più di una volta cercando di isolare i periodi.
“Natura abhorret a vacuo”, diceva Aristotele, la natura rifugge il vuoto e i clienti lo sanno bene, al punto che tutti soffrono di una sorta di maledizione dell’horror vacui. Anche certi account non ne sono immuni e spesso, se non vengono adeguatamente istruiti dai creativi, contraggono la maledizione direttamente dal cliente.
L’effetto principale della maledizione è che le pagine di una brochure, di un volantino, di un annuncio pubblicitario, di un sito devono essere in qualche modo riempite in tutta la loro superficie, altrimenti il cliente ha la sensazione di sprecare i soldi. Ma non solo. Il bisogno compulsivo di dover per forza comunicare tutto si manifesta anche in altri ambiti, basta osservare le vetrine di certi negozi (in particolare di abbigliamento), talmente affollate di prodotti che a volte ricordano più una cabina armadio che un allestimento vetrina.
Il designer sa bene che impostare un layout molto pulito con spazi privi di grafica è rischioso perché lo espone a critiche sicure. Nonostante ciò è sempre fiducioso che un barlume di lucidità possa fare breccia nel cliente. Si prepara, e in fase di presentazione creativa cerca sempre di motivare con solide argomentazioni le proprie scelte grafiche e stilistiche, soprattutto quella di aver lasciato volutamente dello spazio privo di grafica.
Tutte le volte, in un primo momento, il cliente ha una falsa illuminazione. Apprezza il lavoro e sembra condividere le ragioni di tali scelte. Poi, improvvisamente accade qualcosa.
Si ferma.
Sembra guardare nel nulla. Per qualche secondo non parla.
Viene ipnotizzato e inghiottito dal vuoto sulla pagina. La maledizione dell’horror vacui s’impadronisce di lui e si manifesta implacabilmente sotto forma della satanica domanda “Ma qui lasciamo tutto questo bianco?”.
Domanda retorica.
A questo punto si cerca arginarlo provando a distrarlo, facendogli notare l’eleganza del font o la bellezza delle immagini, ma c’è poco da fare, ormai è posseduto dall’horror vacui e lo spazio bianco sul layout lo ossessiona. Sente un bisogno impellente di riempirlo con qualcosa.
Se la manovra diversiva non sortisce l’effetto sperato, le possibilità sono due: chiamare un esorcista, che con in mano il libro Design e Comunicazione Visiva di Bruno Munari, al grido di “Esci da questo layout!”, liberi il cliente dalla maledizione; oppure, infilzargli il cuore con un pennarello Tria Pantone.
Battute a parte, il designer non ha alcun potere sulla maledizione e non può nulla.
La maggior parte delle volte ne viene sopraffatto. L’unico modo per placarla è riempire gli spazi vuoti. Se è “fortunato” il cliente gli fornirà elementi da aggiungere, incurante del fatto che il troppo equivale al niente, diversamente dovrà espandersi con quelli che ha.
Che fare allora?
Si allunga il brodo, si pompa, si enfatizza. Un’operazione sfiancante che però necessita di una certa maestria, e che può svilupparsi in vari modi:
– ripetizione delle notizie;
– impiego di alchimie espressive per allungare il testo;
– elencazione di particolari insignificanti e ridondanti;
– ingrandimento di immagini, testi e, ovviamente, il marchio.
Tutto perché il cliente patisce nel vedere spazi inutilizzati e lo slancio iniziale che faceva ben sperare finisce nel più classico «Io pago tutto il foglio per cui voglio che si riempia tutto lo spazio». Questa è solo una delle risposte che mi sono sentito dire.
La migliore credo che sia quella di una cliente che alla vista di un impaginato troppo pulito mi chiese: «Possiamo scrivere qualcosa sotto quel paragrafo? Con tutto quel bianco sotto sembra che ci siamo dimenticati di inserire del testo!»
Capite cosa tocca sentire?
E che dire dell’account? Purtroppo a volte fatica a comprendere e sposare le scelte di art direction e di conseguenza non riesce a motivarle efficacemente al cliente, venendo a sua volta sopraffatto e investito dalla maledizione. Quando torna in agenzia lo si vede vagare per i corridoi ruotando la testa di 360 gradi e pronunciando frasi prive di senso tipo «Con questa grafica così minimal verranno fuori un sacco di pagine», oppure «In questa brochure c’è troppo bianco, forse è il caso di cambiare il formato».


2 commenti

Gianluca · 1 Giugno 2016 alle 19:35

Bell’articolo, condivido con te i momenti tragici in cui il cliente è stato posseduto dal demone… :)

    antonio_filigno · 2 Giugno 2016 alle 11:42

    Ciao Gianluca, ti ringrazio. È di conforto sapere che c’è chi condivide gli stessi problemi :-)
    Buon lavoro

    antonio

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