La crisi economica che ormai da anni investe il mondo intero, e in particolare il nostro Paese, ha progressivamente cancellato nella nostra testa l’idea di trovare un lavoro fisso. In certi casi anche l’idea di trovare un lavoro. Una volta era sufficiente la licenza media, poi diventò necessario un diploma. Oggi anche un laureato, che sia un neolaureato o pluri decorato di corsi e master post laurea, fatica a trovare un posto di lavoro, anche rassegnandosi all’idea di cercarne uno che nulla ha a che vedere col percorso di studi seguito.
Per giunta, se riesce a trovarlo, rischia di cadere nella trappola di aziende che approfittano della crisi per costringere il dipendente a una situazione di lavoro squilibrata, precaria, mal pagata e con sempre meno diritti. Una situazione che crea un certo sconforto se si pensa agli anni e i soldi investiti per la propria formazione nella speranza di fare ciò che si desiderava.
Nell’ambito della progettazione grafica, l’idea di un rapporto di lavoro precario con stipendio da fame è in voga già da molto tempo e ha spinto molti (me compreso) a tentare la carta della libera professione, avventurandosi nel complicato mondo delle partite IVA, con la prospettiva nemmeno troppo convinta di crescere e magari aprire un proprio studio con dei collaboratori. Perché oggi un graphic designer, “digital” o tradizionale che sia, che decide di aprire una partita IVA lo fa sostanzialmente per due ragioni:
– per scelta;
– perché non ha scelta.
Nei paesi anglosassoni lo status del freelance è una condizione ben definita e inquadrata nell’ambito delle attività lavorative. In Italia come al solito c’è confusione e le libere professioni nel campo della creatività hanno più svantaggi che vantaggi. Una volta c’erano dei benefici, sia in termini economici che in termini di qualità della vita (professionale e personale). Oggi ce ne sono molti meno, soprattutto la libera professione non è più così libera. Vive tra l’incudine della crisi del mercato del lavoro, che ci ha obbligato a dimenticare il sogno del posto fisso, e il martello dello stato che ci massacra di tasse, oneri e quant’altro.
A distanza di quasi dieci anni dall’apertura della partita IVA continuo a chiedermi periodicamente se abbia fatto bene a farlo, seppur nella consapevolezza che non avevo alternative e nonostante Antonio Maurelli, un designer con cui iniziai a collaborare quasi vent’anni fa mi disse: «Filigno, ricordati che l’unico lavoro sicuro è quello precario».
Era il 1995. Ero un freelance ante litteram. Lì per lì non diedi molto peso a quello che mi sembrava un simpatico gioco di parole ma a distanza di tempo mi resi conto che aveva troppo ragione. Non sapevo se ero fatto per fare il freelance ma pur di non stare fermo mi sono buttato nella libera professione, che poi negli anni si è trasformata in ritenuta d’acconto, CoCoCo, CoCoPro, ciccicì, papapà per poi tornare freelance con partita iva nel 2007.
Ma come si fa a capire se si è tagliati per fare il free?
In base alla mia esperienza e quello che sento e leggo in giro ci sono caratteristiche e attitudini, personali e professionali, che possono orientare in qualche modo la scelta. Se si rientra nella maggior parte di quelle elencate qui sotto forse è il caso di porsi qualche domanda.

Ho un pessimo rapporto col denaro e la contabilità in generale
Essere freelance non significa solo sapersi vendere ma anche, e soprattutto, sapersi amministrare. E qui io parto già male. Tenere la contabilità, ordinare le fatture e ricordarsi di chiederle, compilare la scheda carburante, conservare (possibilmente integri e leggibili) gli scontrini, stilare i preventivi, ricordarsi delle scadenze e possibilmente non lasciare il conto scoperto.
Insomma, tutto ciò che attiene all’emisfero sinistro del cervello e a un certo concetto di metodo applicato all’ordine, non fa parte del mio repertorio. D’altronde o facevo il creativo o facevo l’account. Anticipi, saldi, imposte, tasse, scadenze, fatico a stargli dietro. È un continuo pagamento. Certo, non bisogna essere consulenti del lavoro ma un po’ ordinati e un po’ ragionieri sì, perché tutta la documentazione sopra citata è da raccogliere e dare al commercialista.
Poi c’è un aspetto da non sottovalutare. Per un lavoratore dipendente lo stipendio è un qualcosa di oggettivo e conosciuto e il lavoratore possiede tutti i parametri per stabilire se il suo compenso sia equo o no in virtù di contratti nazionali che fissano per legge un salario minimo garantito in ogni settore. Soprattutto, le tasse e i contributi sono trattenuti a monte, per cui tutto quello che gli arriva in busta è, come si dice, “pulito”. Per un freelance non è così. Dei soldi che si incassano (tolta l’IVA, che come la si incassa si restituisce – quasi tutta – allo Stato), per effetto della pressione fiscale, bisogna convincersi di aver incassato la metà. La matematica non mi è mai piaciuta e sono mentalmente anarchico. Fate voi.

Voglio lavorare con orari regolari
Innanzitutto sfatiamo un falso mito: essere freelance non significa lavorare tre o quattro ore al giorno e poi cazzeggiare in giro con gli amici o la fidanzata. Il primo errore che si commette da “libero professionista” è quello di pensare che poter gestire il proprio tempo significhi anche poterlo dilatare o restringere a proprio uso e consumo in barba alla continuità spazio/temporale. Ci si alza al mattino quando si vuole si fa una bella colazione, si lavoricchia, una bella pausa pranzo e magari si schiaccia anche un bel riposino dopo pranzo, così quando ci si riprende (perché spesso i riposini post pranzo hanno lo stesso effetto di un chilo di melatonina) più di mezza giornata è volata via e c’è una bella mole di lavoro accumulato che aspetta.
E anche avere orari regolari è complicato.
Per carità, se uno riesce a organizzarsi può anche provare a farlo. Però, nell’ipotesi di voler guadagnare un po’ di soldi, probabilmente si tenderà a non rifiutare i lavori.
Non fino a quando si ha un buco libero nell’orologio.
Per un freelance non esiste la settimana lavorativa. Il weekend sono solo due giorni lavorativi che separano il venerdì dal lunedì.
Le feste, poi, dovete mettere in conto di saltarle o accorciarle.
La tripla veste di creativo, account e amministratore di se stesso costringe a un largo utilizzo di tempo. Senza contare quello necessario per la crescita personale e l’autopromozione. Perché anche noi siamo un brand. E quello che non si riesce a fare di giorno lo si fa la sera, la notte e nel weekend.
Il nome stesso “freelance” presuppone una certa libertà e flessibilità in orari che tendenzialmente non ci sono, a meno che non siate una “finta” partita IVA che lavora da dipendente.
In questo caso lo svantaggio è doppio in quanto avrete gli oneri del lavoro indipendente con gli svantaggi del lavoro dipendente.
Se siete amanti di una vita regolare, della routine e se la vostra fidanzata (o fidanzato) ha un brutto rapporto con i contrattempi dell’ultimo momento, non fate il freelance.

Non so bene cosa so o voglio fare
Il presupposto per essere un freelance è avere delle doti/competenze/capacità vendibili, soprattutto avere motivazioni forti per iniziare una sfida difficile.
Bisogna fare un radicale cambio di mentalità, dimenticando le sicurezze e le comodità della vita da dipendente. Niente account che ti filtra col cliente, niente receptionist che ti filtra le telefonate, niente progress che ti organizza il lavoro.
Si è titolare di sé stessi, quindi la prima domanda da porsi è anche la più crudele: se fossi il mio capo, mi assumerei?
Il punto non è “cosa si vuole fare” ma “cosa si vuole essere”.
Se non si ha bene la consapevolezza dei propri mezzi e dei propri limiti e non si hanno degli obiettivi chiari, forse non è il caso di lanciarsi in maniera avventata nell’avventura da free.
Può essere utile lavorare per un po’ da dipendente (magari precario o in stage non retribuito, che va tanto di moda) per capire meglio quali sono le proprie attitudini e i punti di forza, e magari affinarli. In più, si sonda il terreno, s’intrecciano relazioni utili da sfruttare per proporsi come freelance una volta deciso di fare il grande salto.

Preferisco che qualcuno mi organizzi il lavoro
Se siete i classici “bamboccioni”, eterni bambini abituati sin da piccoli a essere il centro del mondo, allevati,protetti e viziati, anche in età adulta, come un animale di una specie rara in via di estinzione dalle amorevoli e immense cure della vostra mamma, che vi organizza l’esistenza minuto per minuto, vi lava, asciuga, stira e prepara da mangiare, allora avete un problema. Un grosso problema.
Il lavoro del freelance presuppone autonomia, risolutezza, autodisciplina e organizzazione, nonché doti di marketing, comunicazione, relazionali e manageriali.
Se non si è dotati di un minimo di queste caratteristiche è molto facile che distrazione, approssimazione e il “domanismo” (cioè la tendenza a rimandare a domani) s’impossessino di voi facendovi perdere tempo prezioso.
E il tempo è denaro.
Sarebbe buona cosa darsi delle regole da rispettare fin dall’inizio. Orari, pause, attività propedeutiche alla professione vanno organizzate e pianificate con cura da voi e non da qualcun altro. Soprattutto, non lasciate che sia l’ansia del cliente a organizzare il vostro lavoro.

Non ho voglia di sbattermi più di tanto per lavorare
Molti pigri sarebbero felici di lavorare se trovassero un lavoro adatto alla loro personalità fisica e mentale. Se siete quelli che puntate ad ottenere il minimo risultato col minimo sforzo lasciate perdere.
Ci sono tanti altri lavori che richiedono molti meno sforzi.
Che so, dipingere sulla ceramica, fare il controllo qualità in una fabbrica di materassi, strappare i biglietti in un cinema multisala.
Il mestiere del designer di per sé, oltre a una certa attitudine, richiede passione, dedizione, disponibilità e sacrifici.
Farlo da freelance ne richiede molto di più.
È un lavoro totalizzante che non lascia molto spazio per attività di svago collaterali. Teoricamente il nostro mestiere dovrebbe essere anche il nostro svago ma oggi è impensabile.
Certo, anche fare gli stacanovisti senza alzare le chiappe dalla sedia per tutto il giorno non porta certo benefici. Un aspetto positivo dell’attività autonoma è quello di potersi concedere piccole pause durante la giornata che hanno un effetto rigenerante e ci permettono di ripartire. Pausa sì, ma senza esagerare.

Sooooldi subito!
Conoscendo le ultime generazioni questo doveva essere il punto 1. Quando facevo colloqui la prima cosa che chiedevo era che lavori e che clienti avesse l’agenzia. Oggi la prima cosa che ti chiedono in un colloquio è “Quant’è lo stipendio?”.
Ecco, se pensate che diventare libero professionista sia la scorciatoia che vi conduce trionfalmente verso un facile guadagno avete sbagliato tutto. Oggi col nostro mestiere si vive sul filo di lana. Non ci si può permettere nemmeno uno starnuto, perché lo Stato non ci aiuta. Lavoriamo, produciamo valore e diamo prestigio a questo Paese ma non ci viene riconosciuto. Anzi, abbiamo difficoltà a pianificare un futuro, una famiglia, fatichiamo ad accedere a un mutuo. Si lavora tanto e non si guadagna in proporzione agli sforzi fatti. Soprattutto, scordatevi lo stipendio fisso ed entrate nell’ottica che l’unica cosa fissa che avrete sono i costi mensili di gestione della vostra partita IVA, che dovrete sborsare anche se non fatturate una mazza. È vero che si può arrivare a guadagnare bene ma ci vuole tempo, pazienza e una sana dose di “culo”, nella doppia accezione di “fortuna” e “farsi il mazzo”.

Sono un orso un po’ introverso e alquanto misantropo
Se state progettando un futuro da freelance è giusto che sappiate che prima di tutto dovete stare a vostro agio con la gente, conoscerla, ascoltarla, frequentarla. Per un freelance la rete di relazioni è fondamentale. Va coltivata e fatta crescere perché ogni incontro, anche il più insignificante e non strettamente connesso col lavoro può trasformarsi in un’opportunità per una nuova collaborazione.
Una delle ragioni che inducono i clienti a rivolgersi a un freelance è l’assenza della burocrazia e della rigidità dei rapporti tipica delle agenzie più strutturate. Sempre più spesso i clienti cercano professionisti dinamici, appassionati, talentassi, professionali e disponibili con cui avere un rapporto diretto.
Questi aspetti però, se da un lato favoriscono il freelance, dall’altro possono penalizzarlo, soprattutto se il lavoro coincide con la propria passione. Io, ad esempio, sono emotivamente molto coinvolto nel fare il mio mestiere, che al contrario richiede una dose massiccia di autocontrollo e assertività nell’esercizio dell’aspetto che riguarda la critica, in fase di presentazione delle idee, e nell’esercizio dell’aspetto amministrativo quando si tratta di farsi pagare le fatture. Quest’ultimo, a volte, decisamente più estenuante.
Comprendo che quando bisogna vestire i panni dell’account per presentare il progetto, può essere difficile analizzarlo con distacco. Dobbiamo saper ascoltare, mercanteggiare modifiche e costi, e spesso soprassedere e fare buon viso a cattivo gioco anche quando abbiamo palesemente ragione. Mostrare i canini come un dobermann o mostrarci contrariati quando qualcuno ci propone cose diverse da quelle che ci aspettiamo non è un buon inizio per un rapporto professionale. Se siete il tipo di persona che viaggia col “vaffanculo” in canna dovreste imparare a curare meglio le relazioni.
Anche concedere troppa confidenza a un cliente può essere dannoso. È normale che da un rapporto di lavoro continuato possa scaturire una stima reciproca e una certa intesa da cui può nascere una sincera amicizia. L’importante è saper ristabilire le distanze al momento opportuno. L’amicizia è una cosa, il lavoro è un’altra. L’ideale sarebbe mantenere un rapporto formale, non necessariamente ingessato. Mantenendo un tono fresco e professionale si può anche mostrare il proprio lato divertente. Il cliente apprezzerà sicuramente.
Magari non vi pagherà, ma gli sarete molto simpatico.

Dunque? Siete ancora convinti di voler fare il freelance?


5 commenti

Luisa · 18 Marzo 2016 alle 10:20

Sì, lo voglio.
L’ho voluto per scelta (avevo un contratto in una spa con 50 dipendenti) e non potrei essere più felice e motivata di così.
Hai analizzato con estrema precisione e chiarezza i tanti svantaggi che spesso non sono chiari a chi vuole iniziare, a chi tenta per disoccupazione e mancanza di alternative.
Ma vuoi mettere, non condividere successi ed insuccessi con l’azienda che stabilisce la tua sorte?

    antonio_filigno · 18 Marzo 2016 alle 12:00

    Ciao Luisa, grazie per il commento.
    È vero, ho analizzato più dolori che gioie. Ma è pur vero che chi decide di intraprendere questo cammino, oltre ad avere di default desideri e ambizioni, ha già ben chiaro nella testa dove arrivare ed è (si spera) convinto che la libera professione gli darà delle soddisfazioni. Per questo ho deciso di mettere luce su aspetti che magari a priori non si considerano. Sono contento che la libera professione ti abbia portato benefici e successi ed è quello che auspico per tutti. Grazie ancora e buona giornata.

    antonio

maria f.r. · 31 Marzo 2016 alle 19:39

Ciao Antonio, dico sempre che per fortuna ci sei tu, inutile dirti che non ho più i pigmalioni che avevo anni fa, direttori creativi e titolari che mi stimavano e senza di essi divento una cacca spiaccicata….davvero, sto tentando di ricostruire un pigmalione interno, ma di fronte a certi clienti che dopo aver consegnato e con preventivo accettato, vogliono sconti del 30%, mi sento davvero che ho sbagliato tutto a diventare freelance, non riesco a tornare indietro, continuo a cercare, ma nessuno sta cercando qui a vr, ciaooo a presto, mi raccomando, conto su di te. grazie maria

    antonio_filigno · 1 Aprile 2016 alle 00:24

    Ciao Maria, ti ringrazio per l’attestato di stima, mi fai sentire una grossa responsabilità addosso :-D
    Purtroppo è vero. Lo scenario è profondamente cambiato e si fa una grossa fatica a lavorare. Figuriamoci lavorare bene, quello è praticamente impensabile.
    Siamo tutti nella stessa barca. Noi non abbiamo sbagliato nulla, è tutto quello che ci ruota intorno ad essere sbagliato ma purtroppo è la norma e dobbiamo farcene una ragione.
    Io nel mio piccolo cerco di ironizzare e, per quanto possibile, dare supporto morale. Vedrai, le cose cambieranno. A presto e grazie ancora! :-)

maria f.r. · 15 Aprile 2016 alle 12:31

Grazie Antonio, a presto e apprezzo quello che fai per la comunità grafica : )

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