Un tweet della giornalista Selvaggia Lucarelli ha scatenato un divertentissimo
quanto involontario esempio di marketing virale (e non solo).

Il principio del viral marketing si basa sull’originalità di un’idea che per sua natura, per il testo o per le immagini riesce a espandersi volontariamente (o involontariamente) e in modo rapido tra le persone, esattamente come un virus. Un’evoluzione informatica del passaparola che si distingue per la volontarietà della fonte di rendere virale il messaggio. Il termine è diventato di uso comune grazie (manco a dirlo) alla rete e in particolare ai social network, luoghi virtuali in cui gli iscritti assecondano la propria mentalità (ahimè reale) e i propri desideri, relativamente liberi da pressioni di tipo sociale. Alcuni purtroppo abusano della libertà di espressione, ma questo è un altro discorso.

L’altro giorno Twitter e Facebook, hanno vissuto un momento divertente di viral marketing “inconsapevole” scatenato da un tweet della giornalista del Fatto Quotidiano Selvaggia Lucarelli, tweet che recitava testualmente: “A guardare fb, gli italiani sono tutti in Grecia,Thailandia e Formentera. Io tifo per quelli che fotografano gli arrosticini in Abruzzo.” Apparentemente può sembrare un tweet innocente, uno dei tanti che si leggono sui social. Diciamo che se lo avessi scritto io, che pure sono stato in Abruzzo e di arrosticini ne ho mangiati, probabilmente avrei ricevuto il like da un pugno di amici carnivori, condito dal commento di qualche adepto delle grigliate di carnazza, e la silenziosa scomunica degli amici vegetariani, vegani, fruttariani, ariani (inteso come quelli che vivono di aria, non come puristi della razza) e quant’altro. Se a scrivere il post è invece un personaggio noto, simpatico, abbastanza vicino alla gente “comune”, dotato di “sense of humor” acuto e soprattutto in grado di catalizzare l’attenzione di una quantità considerevole di utenti, ecco che lo stesso post apparentemente innocuo si può trasformarsi in un momento di aggregazione nazionale, sfociato addirittura in un mini contest fotografico, suscitando l’attenzione dei media e persino del presidente della regione Abruzzo Luciano D’Alfonso.

In un periodo in cui sui social network la gente tira fuori il peggio di sé viaggiando col “vaffanculo” in canna, esibendo il peggior razzismo di genere e di razza, discutendo al limite della denuncia di argomenti di attualità o inutile gossip, vedere un numero importante di utenti rispondere al tweet della Lucarelli compatti e uniti nel nome dell’arrosticino, una volta tanto senza mandarsi a stendere e senza mandare a stendere la stessa Lucarelli, non mi ha fatto solo pensare, per deformazione professionale, a uno splendido esempio di marketing virale o a una involontaria quanto efficace promozione del territorio abruzzese. Vedere la sua bacheca di Facebook inondata di foto mi ha fatto capire che, in fondo, in noi c’è ancora del buono, c’è ancora un barlume di amor patrio, di orgoglio per un qualcosa che ci appartiene, che appartiene alla nostra cultura e alle nostre tradizioni. Io non sono abruzzese, lo è la mia compagna. Le mie origini si trovano 150 km più giù e io vivo a Torino. Grazie a lei ho conosciuto il fascino dell’Abruzzo, l’indole contadina, il calore e l’ironia degli abruzzesi e (ovviamente) gli arrosticini. E me ne sono innamorato. Vedere l’orgoglio con cui gli utenti postavano le immagini che li ritraevano fieri nell’atto di cucinarli e mangiarli, esibendoli come un tesoro,  ha fatto mettere da parte per un attimo il mio lato sabaudo risvegliando il sano orgoglio meridionale. Questa è l’Italia che mi piace.


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