Quante volte ci accorgiamo di aver comprato qualcosa di cui non abbiamo bisogno? E quante volte capita di sentirsi in obbligo di fare un favore a una persona con la consapevolezza di non volerlo fare? Spesso per pigrizia mentale, o più semplicemente per risparmiare tempo si rinuncia ad una decisione più ragionata dando una risposta istintiva, quasi automatica, basata su fattori esterni al contesto della richiesta o dell’acquisto: l’affetto, la simpatia, il senso del dovere, autorità, coerenza… Tutti elementi che possono far pendere la nostra risposta verso un “si” o verso un “no”. Spesso, dovendo fare una campagna pubblicitaria, si fa leva su questi fattori per spingere il nostro target ad acquistare un prodotto o un servizio di cui magari ha sempre fatto a meno ma che, nel momento dell’acquisto, sente il bisogno di avere. Perché la pubblicità non è solo comunicazione, è anche, e soprattutto, persuasione. E come tale si avvale di diverse tattiche. Una delle funzioni principali della pubblicità infatti, è creare il bisogno di possedere qualcosa laddove non se ne sente la necessità, rendendo “desiderabile” un prodotto e “desiderante” il consumatore. Per fare questo la strategia di comunicazione prevalente è quasi sempre quella di associare ai prodotti stimoli positivi come forza, bellezza, calore familiare, seduzione, buoni sentimenti, spaziando dall’immagine al suono e servendosi di codici linguistici tradizionalmente attributi ad altri ambiti: fotografia, grafica, cinema, musica ecc. E se davvero l’arte di persuadere serve a dare una direzione al pensiero dell’interlocutore, e se ciò può essere raggiunto attraverso l’applicazione di questi codici, lo si deve in larga misura alla principale forma di esercizio del potere nella storia: la politica. Ma cos’è in realtà la persuasione? Generalmente viene vista come un subdolo artificio, più vicina alla manipolazione, ma può essere vista anche da un lato più positivo. La persuasione non è un’opera di convincimento, che si propone di “indurre” qualcuno ad agire contro la propria volontà. Si tratta invece di un atto che presuppone un’etica, che comporta una scelta, un esercizio di libera volontà a fronte di un beneficio. Significa, cioè, indurre un cambiamento dell’opinione altrui solo per mezzo di un trasferimento di idee, un passaggio di puri contenuti mentali. Manipolare qualcuno, al contrario, prescinde totalmente dal beneficio che ne conseguirà per il nostro interlocutore al termine del processo e pone esclusivo focus sulla convenienza del persuasore. Ecco perché un buon persuasore dovrebbe sempre preoccuparsi di valutare e misurare il grado di soddisfazione della persona persuasa. Questo può contribuire a rafforzare un rapporto di fiducia con l’altro ed aprire la porta a nuove interazioni proficue per entrambi.
Concludo con una citazione: “Non si può persuadere una persona, a vedere, a sapere, ad arrivare. Lo si può persuadere, però, rispettivamente, a guardare, a studiare, a partire. Persuadere implica che la persona sia libera non solo di volere, di agire, ma anche di pensare, di credere, di decidere”.
Allora? Vi ho convinto? ;-)

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