Mi ero già occupato in un precedente post della figura del cliente, etichettandolo come “il male incurabile della creatività” e analizzandone alcune tipiche espressioni che non fanno presagire niente di buono per il povero designer. Questa volta mi soffermo sulla descrizione di 5 macro categorie in cui è possibile incappare e dalle quali bisognerebbe guardarsi. Non me ne vogliano i clienti.

Il cliente menefreghista.
In una joint-venture di lavoro, il coinvolgimento del cliente nelle fasi di realizzazione è fondamentale per capire se ciò che si sta facendo va nella giusta direzione. Ci sono clienti che passano il lavoro e si disinteressano delle fasi progettuali e produttive. Tu li chiami, loro non rispondono, e se lo fanno tendono a non assumersi le responsabilità di scelte o di condividere informazioni. Sono reticenti, quasi come se ciò che stai facendo per loro non li riguardi. Salvo poi criticarti alla presentazione, o peggio, a fine lavoro dicendoti «Mah, non è quello che mi aspettavo...». Diffidate.

Il cliente tirchio.
Ormai la contrattazione al ribasso è diventata un principio basilare su cui fondare un rapporto di lavoro. I clienti delle agenzie di comunicazione e dei freelance non sono esenti da questa pratica. Il cliente tirchio considera il tuo preventivo (già ridotto alla fame) come il punto di partenza per ulteriori negoziati. E anche se dimostri, numeri alla mano, che i prezzi sono assolutamente irrisori, loro per principio ti chiedono uno sconto, e se non possono darti meno soldi ti chiedono più cose alla stessa cifra. Prima sviliscono il tuo lavoro, poi, giustamente, vogliono pagarlo poco.

Il cliente opportunista.
Ci sono clienti che ti chiedono un lavoro prima ancora che cominci a lavorare per loro. Può sembrare paradossale ma è così. In genere sono quelli che si contattano come new business. Quando vai a presentarti, con la scusa di illuderti che lavorerai per loro ti chiedono, non conoscendoti, di fargli una sorta di dimostrazione delle tue capacità. Il tuo portfolio evidentemente non basta. Ti chiedono di portargli delle idee, così, a fondo perduto, su un ipotetico progetto che potrebbe partire in futuro ma che, di fatto, è in essere. Tu porti le idee e tutto si conclude in un “Interessante, le faremo sapere…”. Il cliente farà proprie le tue idee e le offrirà come spunti a chi effettivamente svilupperà il progetto.

Il cliente “Bianconiglio”.
È un specie molto diffusa, insieme alla variante “ansioso”. La fretta è la compagna fedele. Sono i clienti che ti chiedono progetti complessi con la stessa naturalezza con cui ordinano una pizza. Coi tempi della pizza ovviamente. Sono sempre in ritardo, anche su progetti che in linea di principio non avrebbero scadenze. Alcuni lo ammettono candidamente ma non modificano la timeline di lavoro nemmeno se li supplichi. Ogni professionista è consapevole che il rispetto delle scadenze è un principio fondamentale in un rapporto di collaborazione, a patto che queste siano realistiche. Spesso però il cliente non ha idea dei tempi di produzione di un lavoro.
La variante del cliente bianconiglio è il cliente ansioso. L’ansia può essere dovuta a due fattori: il ritardo o una patologia cronica. Se il problema è il ritardo, può essere sufficiente rassicurarlo sui tempi di consegna, se l’ansia è una patologia cronica preparatevi al peggio. Un esempio? Il cliente che ti telefona per dirti che ti sta inviando una mail con una correzione che nel frattempo vorrebbe fare al telefono ma non può farlo perché deve mandarti la correzione della correzione. Richiamerà per chiederti se hai ricevuto la mail e per dirti che ti sta inviando un’altra mail con un’altra correzione che vorrebbe fare al telefono… E il ciclo riprende.

Il cliente direttore creativo.
Contrariamente alla specie del “menefreghista”, il cliente creativo è quello che interferisce troppo nel lavoro del designer. In pratica impone le proprie idee intromettendosi oltremodo nelle fasi di lavorazione, senza apportare nessun suggerimento degno di essere preso in considerazione. Il designer propone delle soluzioni grafiche e lui per principio vuole cambiarle. Non avendo le basi di una cultura grafica (men che meno estetica), se la discussione rimane sul piano delle rispettive competenze professionali, ogni suo tentativo di smontare un’art direction fallisce miseramente perché non ha argomenti. Se però decide che vuole una merda perché lui è quello che paga,  il designer non può fare altro che eseguire i desiderata del cliente, che poi criticherà il lavoro finito lamentando scarsa creatività.

Categorie: riflessioni

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