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Alitalia rebranding. 520.000 € per non fare nulla.

Pubblicato da antonio_filigno il 2 Novembre 20112 Novembre 2011

Arrivo tardi sulla notizia, ma sinceramente avevo dato poco peso alla cosa prima di sapere il costo dello scherzo. E comunque non è mai troppo tardi per porre l’attenzione una cosa che oggi ha dello sconcertante. Ci sono designer e agenzie che fanno una fatica enorme per farsi pagare 500 Euro lo studio e la realizzazione un logo. Ma c’è un’agenzia (Robilant?) che è riuscita a farsi pagare oltre 500mila Euro (520mila per la precisione) un semplice restyling. E che restyling! D’accordo, è vero, stiamo parlando della nostra compagnia di bandiera, un’azienda importante, sicuramente più importante di un’ipotetica anonima ditta dell’hinterland bergamasco che produce laminati in alluminio, o di un idraulico che vuole l’immagine coordinata. Ci può stare che tra il logo dell’Alitalia e quello dell’idraulico ci sia una differenza di costi, di prestigio, di storia, di valore percepito e quant’altro, fermo restando che l’approccio al progetto e le fasi lavorative sono le medesime per entrambi i loghi. Ma è giusto che la differenza, in termini economici, sia così grande? Soprattutto a fronte dello sforzo profuso. Non scendo nella facile demagogia, denunciando l’inutilità di una spesa simile in un periodo di crisi per il paese e per la stessa compagnia aerea; e non voglio nemmeno discutere sull’utilità e la necessità del restyling di un marchio che era diventato uno dei più riconosciuti al mondo e che nonostante l’età (è stato creato nel 1969 dallo Studio Landor Associated di San Francisco), trasmetteva ancora una straordinaria modernità. Analizzando la cosa da un punto di vista etico e professionale, come si può giustificare che l’inclinazione della scritta, lo stondamento di qualche spigolo del lettering e il cambio dei Pantone verde e rosso valgano 520mila Euro? La giustificazione è stata che Alitalia, nella strategia di riposizionamento della compagnia e della marca, ha deciso di rinnovare il servizio offerto ai clienti accompagnandolo con il restyling del marchio. Sì, poi c’è tutta la fuffa che serve a giustificare le scelte grafiche e stilistiche, eccovene un breve assaggio (e la fonte):
“Tutti gli elementi del marchio sono stati rivisti: la “A”, il “timone” di Alitalia, mantiene il suo valore di guida, la sua centralità, ma si inclina acquistando una forma più dinamica, e si snellisce per assumere più leggerezza ed equilibrio. Il nuovo lettering mantiene la “solidità” del precedente ma diventa più elegante e agile. Il rosso, il verde e il bianco rimangono i colori rappresentativi dell’azienda, per confermare il ruolo di portatrice di italianità che la Compagnia ricopre storicamente; il rosso e il verde, però, vengono portati su tonalità più intense, calde ed eleganti. Il rinnovamento stilistico del marchio diventa così una “supporting evidence” della vitalità e disponibilità al cambiamento di una marca che vuole evolversi per offrire un servizio sempre più vicino ai bisogni e ai desideri del cliente. I nuovi principi grafici sono stati applicati a tutti gli elementi primari che veicolano dell’identità della marca: la livrea, i materiali di comunicazione, le strutture aeroportuali e le sale VIP.”
Belle parole vero? Certo, per giustificare l'”enorme” lavoro svolto. Solo i disegni e le revisioni che si sono susseguite tra il 2005 e il 2006 sono costate l’enorme parcella. Ora mi chiedo, ma quanti passaggi intermedi ci sono stati prima di arrivare alla soluzione grafica più logica, conoscendo l’enorme notorietà del marchio esistente? Una volta tanto non mi trovo d’accordo col pensiero di Bruno Munari. È vero che quando una cosa è stata fatta è semplice a posteriori dire «Questo potevo farlo anche io!». Ma in questo caso potevo veramente farlo io, e comunque non era necessario scomodare Saatchi&Saatchi per un lavoro che un normale studio di design poteva fare altrettanto bene per un compenso più equo.
Anyway, per testare il gradimento del nuovo marchio è stato posizionato sulle macchine del check-in veloce di Fiumicino (quindi con la stessa visibilità di un mozzicone di sigaretta in piazza San Pietro) e via via su altri supporti istituzionali (salviette igieniche, house organ, …). E pare che da un’analisi di gradimento sia risultato più apprezzato dai clienti Alitalia, in una percentuale passata dal 56,9 al 61%. Un dato veramente significativo. Eh sì, proporzionale al restyling direi. Ma ciò che dovrebbe far riflettere, è come mai una compagnia così in crisi abbia deciso di affrontare una spesa di questo tipo, che non solo è stata onerosa a livello di restyling grafico, ma anche, si suppone, a livello di corporate image e identity.
Categorie: Logoriflessioni
Tag: alitaliadesigngraphicLogorebranding

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Antonio Filigno
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